Ivan Greppi

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L’ANSIA È VERAMENTE NEGATIVA?

a cura di Ivan Greppi

Ciao a tutti, oggi vi voglio parlare dell’ansia, in quanto è uno dei temi più affrontati dagli atleti che seguo. In realtà non sono solo gli atleti che soffrono di questo stato mentale. Tutti noi abbiamo sperimentato o sperimentiamo stati di ansia, in occasione di esami scolastici, quando la domenica finisce ed il lunedì dobbiamo tornare a lavoro, quando vogliamo chiedere un appuntamento ad una persona che ci piace, quando sappiamo di dovere incontrare uno che non ci piace, ecc…

Ma cosa è l’ansia? 

Potremmo parlarne per ore, ma lo semplifico a poche righe: è la risposta psichica ad un evento esterno.

Le emozioni non sono mai negative, ma hanno una funzione ben precisa: l’ansia ci avverte che dobbiamo prepararci a qualcosa. È il modo in cui reagiamo all’ansia che può portarci in uno stato produttivo o meno. L’ansia può essere divisa in due modalità di espressione: PSICOSOMATICA e COGNITIVA.

L’ANSIA PSICOSOMATICA, ci attiva modificando il battito cardiaco, la sudorazione e la frequenza respiratoria, predisponendoci all’attività che dobbiamo compiere. Livelli alti o bassi di ansia possono essere sia produttivi che negativi. Dipende da cosa dobbiamo fare. Immagina di avere un esame, manca una settimana e non abbiamo ancora iniziato a studiare. Un livello di ansia elevato, probabilmente mi porterà ad impegnarmi per recuperare il tempo perduto. Se invece il livello fosse basso o addirittura non ci fosse ansia, probabilmente studierei di meno, ottenendo meno risultati o ancora più facilmente non darei l’esame.

Un esercizio molto semplice per cambiare velocemente il livello di attivazione è la RESPIRAZIONE. Se avete livelli troppo elevati di ansia, trovate un posto comodo, sedetevi o sdraiatevi e iniziate a respirare profondamente e lentamente, cercando di rilassare tutti i muscoli. In pochi secondi la vostra fisiologia cambierà. Esistono molte tecniche evolute, usate nello yoga o nell’apnea subacquea, ma per ora non complichiamoci le cose, respirate come vi viene naturale. Questo semplice gesto è già molto potente.

Cambiata la fisiologia il primo passo è fatto, ma esiste l’altra forma di ansia, quella COGNITIVA.

L’ANSIA COGNITIVA sono tutte quelle forme di pensiero che accompagnano l’attività fisiologica: paura del fallimento, senso di inadeguatezza, pensieri negativi, ecc… Questo tipo di ansia non è mai produttiva in quanto influisce su altri processi cognitivi come la memoria, l’attenzione, la percezione e l’autostima.

Questa è la forma di ansia più difficile su cui lavorare, in quanto spesso scaturisce da pensieri che passano velocemente nella nostra mente ma di cui non ne siamo consapevoli, e anche quando lo siamo, non sappiamo come eliminarli o gestirli.

Vediamo nel dettaglio come funziona esattamente questo processo. Immaginiamo di dover preparare un concorso per un posto di lavoro o per l’accesso ad una università, e sono una persona con poca autostima. I pensieri che passano nella mia mente possono essere: “non mi prenderanno mai, ci sono solo 10 posti su 1000 partecipanti”, “è troppo difficile”, “non farò mai in tempo a preparare il concorso”, “non sono abbastanza bravo”. Questi pensieri generano una sensazione che porta all’ansia. Questo stato emotivo attiverà una fisiologia ben precisa, che a sua volta mi predisporrà a compiere certe azioni che genereranno un certo tipo di risultato. In questo esempio potrebbe essere:

  • PENSIERO: “non farò mai in tempo a preparare il concorso
  • STATO EMOTIVO: ansia
  • FISIOLOGIA: postura con spalle anteposte e tensione muscolare bassa
  • AZIONI: smetto di preparare il concorso
  • RISULTATI: zero

Esistono tecniche molto potenti in grado di modificare il primo punto, ovvero le immagini ed il dialogo interno e di conseguenza tutta la catena che porta ai risultati non produttivi. Imparando queste tecniche potrete ALLONTANARE DEFINITIVAMENTE QUESTA FORMA DI ANSIA. Tutti conoscono il detto “volere è potere”, si è vero, ma aggiungerei una postilla” se fai azioni concrete per raggiungere l’obiettivo.

Se sei in grado di gestire l’ansia con la respirazione o hai un tuo sistema che funziona, consiglio di continuare così. Se invece volessi accedere ad un controllo più elevato, ti invito a contattarmi in privato o a partecipare al WORKSHOP “TECNICHE DI RILASSAMENTO E GESTIONE DELL’ANSIA” che tengo periodicamente.

Ricordati, PRATICA, PRATICA E PRATICA.

 

Performance Coach Ivan Greppi

 

Il Brainstorming

a cura di Ivan Greppi

come fare il brainstorming

Il brainstorming è una tra le più note tecniche tese ad incoraggiare la creatività di gruppo con il preciso scopo di far emergere idee volte alla possibile soluzione di un problema. In particolare, non servirebbe a far emergere l’idea migliore, bensì a formare una base su cui lavorare per trovare la soluzione più funzionale al problema che viene sottoposto al gruppo di lavoro.

La sua ideazione risale agli anni successivi al secondo conflitto mondiale, ad opera di Alex Faickney Osborn, il fondatore dell’agenzia pubblicitaria Batten, Barten, Durstin & Osborn. Proprio lui la rese sempre più popolare a partire dal 1957, quando pubblicò il libro Applied imagination.

La sua utilizzazione ha trovato nel corso dei decenni svariati campi di applicazione, in settori come quello della pubblicità, consulenza, indagini di mercato, ideazione di business planning, preparazione di processi da parte di team di avvocati e altri, in segmenti produttivi che vanno dalla scuola all’industria. Una diffusione talmente vasta da aver fatto di questo termine un abituale frequentatore dei più popolari dizionari, ove viene comunemente definito come tempesta di cervelli, dando una idea abbastanza immediata di cosa effettivamente si tratti. Va però precisato che nel corso dei decenni ha trovato un’applicazione ideale soprattutto nel settore della pubblicità.

Secondo la definizione accettata in maniera pressoché universale, il brainstorming consisterebbe in una discussione portata avanti all’interno di un gruppo più o meno folto, nel corso della quale le varie opinioni andrebbero ad incrociarsi sotto la guida di un animatore. Il suo scopo di fondo è quello di trovare e quindi far emergere nel modo più preciso possibile il maggior numero di idee su un argomento che sia stato indicato in precedenza. Solo quando questo compito sarà stato espletato diventerà possibile passare all’opera di selezione delle idee emerse, con il preciso scopo di poterle criticare e valutarne infine la bontà. Tra gli altri obiettivi del brainstorming, vanno messi in rilievo anche la sua funzione di allenamento per il cervello in modo da spingerlo a ricercare soluzioni innovative e creative, liberare i partecipanti al gruppo di lavoro da condizionamenti, abitudini e schemi mentali ormai consolidati e favorire la formazione di uno spirito di gruppo oltre che la comunicazione interpersonale.

Alla base del brainstorming ci sarebbe il pensiero divergente, coi suoi fattori principali, ovvero la capacità di portare alla formazione di un elevato numero di idee, che siano non solo diversificate, ma anche insolite. Proprio per poter conseguire tale risultato, si ricorre al lavoro condotto all’interno di un team, procedura che permette a sua volta di condurre alla necessaria interazione fra i partecipanti al gruppo di lavoro e la messa a frutto della moltiplicazione dello sforzo di ognuno dei partecipanti con quello degli altri.

Il processo che dovrebbe portare al risultato finale, si compone di tre momenti ben precisi:

a) l’individuazione del problema, la raccolta delle informazioni inerenti allo stesso e la sua scomposizione in modo da distinguere le parti che al suo interno richiedano un intervento di tipo creativo distinguendole da quelle che invece presuppongano interventi decisionali;

b) la fase in cui debbono essere elaborate le idee nuove, indicata come parte illuminativa del processo;

c) la decisione delle idee da esaminare e la loro valutazione finale.
Soltanto le ultime due fasi, però, sono effettivamente parte del vero e proprio brainstorming, il quale avviene all’interno di gruppi che possono essere formati da un minimo di quattro sino ad un massimo di trenta partecipanti, chiamati a lavorare in sinergia nello stesso luogo nel quale si intenda risolvere il problema. Il numero dovrebbe però essere attentamente valutato prima della scelta finale: se infatti da una parte il maggior numero di partecipanti potrebbe allargare il numero di intuizioni e di materiale su cui lavorare successivamente, un gruppo troppo ampio potrebbe impedire ad alcuni membri di trovare tempo e modo di esprimersi.

Le due fasi dovrebbero a loro volta innestare un processo ad imbuto e, solitamente, vengono realizzate da persone diverse. Si tratta comunque di una condizione da valutare e non obbligatoria.

Nel corso del processo descritto, proprio il conduttore è chiamato a ricoprire un posto chiave in ognuna delle sessioni di brainstorming. Egli deve infatti non solo conoscere alla perfezione estremi e limiti del problema da risolvere, ma anche procedere all’istruzione dei membri del gruppo in relazione alle regole che caratterizzano la tecnica. Inoltre deve cercare di stimolare in maniera adeguata il loro interesse per poi porsi come figura di riferimento in una attesa fiduciosa. Le idee che fluiscono nel corso del processo, anche se apparentemente slegate o contraddittorie, vanno poi riportate su carta o comunque entrano a far parte di un vero e proprio archivio.

Va anche precisato che le richieste da sottoporre al team, non dovrebbero mai essere racchiuse all’interno di paletti, ovvero avere una forma aperta in grado di sollecitare la massima creatività di ognuno dei membri ed evitare che essa venga frenata dall’emergere di schemi di pensiero tradizionali.
L’ordine degli interventi non viene determinato a priori e non è di conseguenza fisso. Ognuno dei partecipanti provvede all’esposizione di quanto elaborato cercando di collegare le proprie idee con quelle degli altri, in una atmosfera improntata a massima educazione e rispetto.

Uno degli esempi classici che viene fatto per descrivere questo processo, è quello del tostapane: invece di chiedere di immaginare un nuovo modello di tostapane, sarebbe preferibile chiedere di focalizzare la mente su un dispositivo in grado di disidratare il pane. Se lo scopo rimane lo stesso, il pensiero dei membri del gruppo di lavoro non si lega allo stereotipo del normale tostapane, ma prende come punto di riferimento il verbo disidratare, assumendo quindi come decisivo un concetto apparentemente periferico, portando di conseguenza alla elaborazione di idee contrassegnate dalla novità.

Anche la seduta vera e propria di brainstorming deve essere preceduta da una fase di studio e preparazione molto accurata. A partire dal luogo in cui essa dovrebbe avvenire, che deve essere preferibilmente confortevole, tranquillo e sottratto alla possibilità di interventi esterni o intrusioni. L’arredamento dovrebbe vedere la presenza di un tavolo rotondo, che permetta ai partecipanti di poter interloquire tra di loro, con sedie in grado di regalare il massimo di comodità e sul quale siano disposte bevande dissetanti. Se il gruppo è molto numeroso, si può invece optare per la disposizione ad U, un accorgimento che può favorire la miglior psicogeografia possibile.
I partecipanti debbono essere a loro volta provvisti del necessario per la scrittura, ovvero carta e penna su cui annotare spunti e prendere appunti. Non va poi sottovalutata la possibilità di avere sotto mano un registratore in grado di memorizzare la seduta, o di una lavagna a fogli che consenta di segnare ogni nuova idea.

Per quanto riguarda il team chiamato a dare vita al brainstorming, esso dovrebbe essere contrassegnato da una certa eterogeneità. Proprio le differenze di studi condotti, specializzazione, interessi e altri fattori può in effetti produrre quel contrasto di pensieri tale da aprire nuove strade e condurre ognuno dei membri ad assumere un nuovo punto di vista. Il mix che può scaturire da idee apparentemente contrastanti o comunque diverse può rivelarsi molto più prolifico di un processo in cui invece esse siano invece standardizzate, dando infine vita a qualcosa di realmente originale.

All’atto della convocazione viene invece espressamente consigliato di non menzionare preventivamente il problema che deve essere trattato, in modo da evitare ricerche le quali potrebbero far insorgere nei soggetti interessati gabbie mentali tali da inibire il processo creativo. Anche l’orario dovrebbe essere deciso in modo da favorire i partecipanti e la loro capacità di elaborare idee innovative. In questo caso, però, le scuole di pensiero sono varie, pur tendendo a privilegiare il mattino come momento più fertile dal punto di vista creativo.

Prima di iniziare la sessione, il moderatore può anche decidere di indurre nei membri chiamati a partecipare al brainstorming uno stato di relax e di esaltazione di sogni e fantasia.

Una volta iniziata la seduta, vengono quindi spiegate le regole chiave del brainstorming, ovvero la libertà assoluta di esprimere le proprie idee, la messa al bando di critiche o facili ironie su concetti apparentemente non attinenti al tema o banali, uno sforzo teso a migliorare o definire meglio le idee espresse da altri, senza timore di incorrere in un plagio. Il tutto cercando però allo stesso tempo di perseguire il massimo possibile di concretezza e sintesi. Allo stesso tempo, la quantità è più importante, almeno in questa prima fase, della qualità espressa: maggiore è la quantità, più alte sono le possibilità di raggiungere una soluzione.

E’ anche importante mantenere alto il livello della creatività e cercare di rendere divertenti le sedute, provvedendo quindi allo spegnimento dei cellulari e alla eliminazione di ogni possibile fonte di distrazione.

Durante il brainstorming si possono usare anche le mappe mentali, strumento molto valido che consiste in un diagramma utilizzato al fine di rappresentare idee, parole o altri elementi che vengono collegati e associati formando raggi intorno alla parola o idea chiave. Le mappe mentali possono essere trasposte a mano su una lavagna bianca, oppure mediante l’uso di un software.

La durata di ogni seduta può essere condizionata dal numero delle idee prodotte e può andare da meno di un’ora sino a raggiungere mezza giornata. Nel corso della riunione il compito preciso del conduttore consiste nell’incoraggiare i partecipanti, mantenere la disciplina ed evitare i momenti di stasi. Per fare ciò, può a sua volta rilanciare idee e spunti, magari sotto forma di provocazione. In sede di chiusura è ancora suo compito riassumere le idee espresse dal gruppo oltre a sollecitare i partecipanti a dare comunicazione di spunti aggiuntivi che possano presentarsi nelle ventiquattr’ore successive, che a volte possono risultare le più proficue in tal senso.

Le idee elaborate nel corso del meeting, vengono quindi raccolte in un verbale per essere poi sottoposte ad un processo di selezione in base alla loro pratica attuabilità, alla convenienza e alle compatibilità.

Esistono anche alcune variazioni del brainstorming, come il negative brainstorming, l’imaginary brainstorming e il Rawlinson brainstorming.
Il primo è una versione che va a prendere in esame possibili controindicazioni ed effetti negativi di un’idea. Il metodo è stato varato nel corso del 1985 da Isak Isaksen and Treffinger e il suo svolgimento è simile al procedimento classico, se si fa eccezione per il fatto che le domande cui cerca di dare una risposta hanno una connotazione negativa, ovvero cercano di prevedere cosa potrebbe andare male o i problemi che potrebbero insorgere facendo una determinata cosa.

È considerato un procedimento estremamente utile nelle occasioni in cui si vada ad analizzare un problema molto complesso, nell’evenienza si vada ad applicare una nuova idea senza però avere avuto un sufficiente margine di tempo per sperimentarla, oppure quando avendo margini di errore molto ridotti si voglia avere sufficiente sicurezza di essere pronti ad affrontare le possibili complicazioni.

L’assunto da cui parte il negative brainstorming è che mettere in rilievo eventuali aspetti negativi prima di optare per la definitiva adozione di un’idea, può consentire di evitare sgradite sorprese, o perlomeno di non farsi trovare impreparati non solo da un punto di vista materiale, ma anche sotto il profilo emotivo. In definitiva può aiutare ad essere preparati di fronte a possibili insuccessi e a mettere in campo determinate contromisure tese a rimediare a situazioni parzialmente compromesse.
Va anche ricordato che una volta terminata la sessione di lavoro potrebbe rendersi necessario un ulteriore step inteso a ridare motivazione al gruppo. Una necessità conseguente al fatto che l’esplorazione delle connotazioni negative di un problema potrebbe far insorgere nei partecipanti un senso di pericolosa insicurezza tale da intaccare la fiducia nel lavoro di gruppo o nella sua utilità.

Altra versione abbastanza simile a quella classica, è l’imaginary brainstorming, che va praticamente a ripercorrere le regole e i principi della prima. La principale differenza consiste nel fatto che l’imaginery brainstorming, al fine di trovare soluzioni idonee per il problema affrontato, obbliga i partecipanti a creare un contesto e dei protagonisti appunto immaginari, i quali vanno a sostituire quelli reali, creando allo stesso tempo una vera e propria analogia.
L’imaginary brainstorming viene realizzato riformulando il problema che si sta cercando di risolvere con uno sforzo di fantasia che è teso a creare un contesto diverso, sostituendo i protagonisti del problema, l’oggetto del problema o l’azione da esaminare tramite personaggi o attività alternative. Le figure adottate possono a loro volta essere fantasiose oppure legate in maniera più diretta al contesto che si sta affrontando. Soltanto una parte del problema, quella più rilevante e critica, rimane la stessa, al fine di mantenere concretezza ed aderenza alla realtà. Se il problema è quello di dover accorciare i tempi di un determinato processo, esso può essere affrontato dall’ottica di un gruppo di persone ben preciso. Ad esempio, il problema potrebbe diventare: come farebbe un corpo di vigili del fuoco a costruire una abitazione impiegando metà del tempo necessario solitamente?
Un mutamento del quadro di riferimento come quello prospettato, può dare un notevole impulso ai partecipanti del brainstorming, spingendoli ad immedesimarsi in un ambiente del tutto nuovo, assumendo il punto di vista di personaggi che possono anche essere immaginari. In una situazione di questo tipo, può conseguirne il fluire di nuove associazioni e ispirazioni, aiutato anche da un effetto secondario non trascurabile, la riduzione di carico emotivo e condizionamenti dei membri, i quali potrebbero influire non poco sulla bontà del processo creativo.
Infine il Rawlinson Brainstorming, il quale trae il suo nome dall’ideatore, J. Geoffrey Rawlinson. Questa variante viene utilizzata per tutti quei gruppi ai cui partecipanti non si richiede di interagire e in quelli i quali non presentino caratteristiche tali da consentire una comunicazione aperta, senza filtri e pregiudizi.
Il Rawlinson Brainstorming ruota in particolare intorno al moderatore, il quale non solo è chiamato a dirigere il gruppo di lavoro, ma anche a ricevere direttamente tutte le proposte, dopo aver proceduto alla descrizione della questione da risolvere e le aspettative. Proprio per questo, si tratta di una tecnica fondata su una struttura rigidamente gerarchica del gruppo la quale non a caso viene utilizzata da manager, direttori di reparto o comunque figure di riferimento all’interno di aziende o gruppi di lavoro.

In questo caso il moderatore provvede a indirizzare i membri del brainstorming in base alle sue competenze sfruttando la sua autorità e il preventivo riconoscimento di essa all’interno del gruppo di lavoro. L’obiettivo di fondo è quello di ridurre e sintetizzare al massimo i tempi nel processo di creazione dell’idea, e individuare idee originali in un contesto problematico in cui la sintonia del gruppo potrebbe essere minata in partenza da un clima di competizione o addirittura aperta ostilità.
Questa versione prevede l’introduzione della questione da affrontare e risolvere, ricordando il lavoro che è già stato svolto e le basi poste. Il moderatore, a sua volta, dispone stavolta di maggiori informazioni rispetto al gruppo chiamato ad affrontare il problema, proprio in forza della sua storia personale e del suo carisma, e in conseguenza di ciò esercita la sua leadership senza particolari remore nei confronti degli altri.

I partecipanti possono anche in questo caso esporre liberamente le proprie idee, senza però interagire in maniera diretta con quelle elaborate dagli altri. Proprio questa è in definitiva la differenza più netta con il brainstorming classico, ove invece le idee di ognuno vanno a legarsi con quelle degli altri, fornendo di conseguenza lo spunto per legami sempre più prolifici. Essendo un processo che privilegia l’individualità nei confronti del lavoro di gruppo, il Rawlinson Brainstorming si rivela particolarmente proficuo quando c’è necessità di instaurare un clima di competizione tesa a stabilire chi possa essere realmente utile al progetto che si intende sviluppare in un secondo momento.
Questo particolare tipo di brainstorming può essere svolto anche a distanza, ad esempio tramite una intranet aziendale, utilizzando la posta elettronica o un forum.

I critici del brainstorming ne mettono in evidenza un lato debole, ovvero quello che vieta la critica delle idee espresse. Puntare sulla quantità e non sulla quantità, secondo loro, può alla fine andare a discapito della bontà del lavoro, in quanto viene data stessa dignità a idee buone e meno buone. Un rilievo che però non prende nota del fatto che la fase della cernita viene svolta solo successivamente, da un team preposto allo scopo, mentre il vero compito di questo procedimento è quello di fornire la base di idee su cui operare la selezione definitiva.
I fautori del brainstorming mettono invece in rilievo il fatto che idee generate da una sola mente possono invecchiare rapidamente e perdere di efficacia. Il lavoro di gruppo, invece, consente di confrontare il proprio lavoro con quello degli altri e magari trasformare degli abbozzi in idee di forma compiuta, grazie al concorso di altri punti di vista.

Se in definitiva il brainstorming è ormai da molti ritenuto una tecnica obsoleta, non di meno conserva il merito di rappresentare il capostipite di una serie di tecniche volte ad incoraggiare la creatività, le quali hanno preso le loro mosse proprio dalle sue inefficienze e carenze.

Ma cos’è questo stress?

a cura di Ivan Greppi

stress

Quante volte abbiamo sentito la parola stress e provato il timore di essere colpiti? Lo stress viene considerato come la malattia ‘simbolo’ del secolo moderno, in quanto molte delle sue cause sono legate alla frenesia degli impegni giornalieri e ai ritmi vorticosi ai quali siamo costretti ad adattarci, che non ci permettono di vivere le giornate in modo sereno e positivo. Ma non pensiamo che lo stress sia solamente una patologia moderna, in quanto già dagli ’30 del novecento molti studiosi si sono occupati di focalizzare il problema e di descriverlo in termini clinici.

E’ il caso dello stimato Dottor Hans Selye dell’università di Montreal in Canada, considerato un precursore dello studio dello stress, che impiegò il termine nel 1935 per descrivere le tensioni registrate su un suo paziente, oppure del profondo lavoro svolto negli anni ’80 da R. Karasek e applicato allo studio dello stress derivato da fenomeni professionali. Lo stesso dottor Karasek elaborò un questionario molto preciso, ancor oggi impiegato in molti ambienti lavorativi, per valutare le situazioni stressanti della professione e esaminarne l’impatto fisico e psicologico sui dipendenti.

In questi anni molti medici, studiosi e psicologi si sono occupati di analizzare lo stress sotto diversi punti di vista, iniziando dalle cause che provocano la patologia fino alle diverse manifestazioni e alle possibili vie di guarigione. Sì, perché lo stress viene considerato a tutti gli effetti come una vera e propria malattia, che chiede di essere analizzata nelle sue cause, nei suoi sintomi e quindi di essere eliminata con cure attente e propositive. Lo stress viene oggigiorno curato, ma è importante conoscerne le cause e, soprattutto riconoscere quando il soggetto ne è colpito anche in forme lievi. Le forme leggere di stress, se non vengono opportunamente trattate con percorsi psicologici e motivazionali coerenti possono infatti sfociare in gravi episodi che minano la salute delle persone, per cui cerchiamo di analizzare le manifestazioni dello stress per comprenderle al meglio!

Stress: conosciamo il termine
La parola stress è di origine inglese e nella lingua madre viene impiegata per descrivere la forza esercitata da un certo oggetto. Si tratta di una parola presa in prestito dal campo della fisica e dell’ingegneria, ma che purtroppo rende benissimo il concetto dell’enorme sforzo al quale sono sottoposti il fisico e l’organismo di chi ne soffre. Una forza stressante è una forza che agisce esercitando una certa pressione che, a lungo andare può risultare pericolosa e logorante e quindi danneggiare in modo perenne i meccanismi di una certa macchina o di un certo circuito. Se applichiamo questa potente metafora al corpo e alla mente degli esseri umani, possiamo quindi comprendere che le forze stressanti logorano il nostro corpo, la nostra mente e il nostro organismo via via che il tempo passa.

Gli specialisti sono concordi nell’impiegare il termine stress per descrivere una reazione che il corpo e la mente umana mettono in moto a seguito di un cambiamento. Lo stress non è, infatti, solamente cattivo, ma può possedere una natura buona e positiva se la sua applicazione porta a cambiare mentalità orientandola verso orizzonti più aperti e propositivi, ad affrontare le sfide di ogni giorno con voglia e decisione e anche ad attivare le facoltà mentali mantenendoli lucide e reattive. In questo caso si parla di ‘stress buono’ che serve professionalmente per migliorare le proprie performance professionali e che può anche rendere le relazioni sociali e affettive più piacevoli, interessanti e per certi versi affascinanti. In questo caso lo stress è però di natura diversa, in quanto si tratta di una sollecitazione positiva che proviene dall’esterno, di uno stimolo che serve a migliorare la vita di ogni giorno e a renderla più fresca e attiva.

Purtroppo le diverse condizioni ambientali e sociali dei tempi moderni hanno portato la comunità a dare al termine stress una valenza negativa, perché il troppo stress fa male alla salute. Lo stress cattivo non si limita a far scattare i positivi meccanismi neuro chimici che ci mantengono belli svegli, reattivi e propositivi, ma attuano una serie di cambiamenti pericolosi all’interno della nostra persona. Ciò accade quando la dose di stress alla quale siamo sottoposti giornalmente supera il livello controllato e va a minare il nostro delicato equilibrio psico fisico. In questi casi si parla correttamente di ‘distress’. Cerchiamo quindi di capirne le caratteristiche, per riconoscerlo e quindi per combatterlo in modo efficace e attivo.

Il distress, ovvero lo stress cattivo
Come abbiamo notato, lo stress si manifesta a causa di cambiamenti che interessano la sfera sociale, professionale ed emotiva dei soggetti. Iniziamo ad analizzare la sezione professionale, probabilmente quella in cui i soggetti che soffrono di stress cattivo più si rispecchiano. Può accadere che la mole di lavoro giornaliero alla quale le persone sono sottoposte sia troppo elevata e che quindi i professionisti non si sentano in grado di supportare una tale quantità di impegni. Spesso non si tratta di quantità, ma anche di qualità del lavoro e questo aspetto è tipicamente legato alle situazioni che derivano dalle crisi economiche. Se, ad esempio, un tempo gli uffici erano affollati e ogni figura professionale si occupava di svolgere certe mansioni, le drastiche riduzioni del personale e la mancata assunzione, ovvero il turn over, di nuovi operatori hanno portato le persone che hanno conservato il proprio lavoro a fare per tre, ovvero ad imparare il lavoro degli altri e a praticarlo durante le ore lavorative, spesso senza la dovuta formazione e anche senza la necessaria predisposizione ad attuarlo. Ad esempio, può capitare che una commessa di negozio si trovi a dover curare la contabilità dell’ambiente lavorativo, senza magari avere le basi professionali e dovendole imparare in tutta velocità per supplire alla mancanza. Ecco che la responsabilità aggiunta al proprio lavoro può dare vita a situazioni stressanti, legate alla mole e alla natura del lavoro svolto.

Un altro importante campo dove lo stress può insorgere è indubbiamente la sfera familiare. Se, ad esempio, ci troviamo a dovere accudire un parente che ha problemi di salute, oppure veniamo a conoscenza di una malattia, possiamo essere colpiti da stress, in quanto possiamo fare fatica conciliare i tempi ma soprattutto siamo portati a nutrire sentimenti come la tristezza, la paura e a coltivare il pensiero di non farcela ad accudire i nostri cari nel modo adeguato. Tutto ciò è perfettamente normale, ma se la situazione si associa a problemi legati alla sfera professionale i risultati potrebbero essere pesanti e quindi portare la persona provare uno stress diffuso al corpo e alla sfera psico emotiva.

Prestiamo attenzione anche agli avvenimenti positivi, in quanto anch’essi potrebbero indurre alla comparsa di manifestazioni stressanti. Un matrimonio, la nascita del primo bambino, un trasferimento di residenza anche in condizioni favorevoli sono tutti eventi felicissimi, ma che chiedono un enorme dispendio di energie fisiche e mentali. Alle energie elargite si associa un aspetto importante: si tratta di un cambiamento vitale, che può essere recepito in modo positivo oppure negativo dal soggetto. Tutto ciò non va assolutamente considerato sotto una luce negativa, ma compreso in modo lucido e analizzato in maniera profonda, in quanto si tratta di naturali manifestazioni mentali, comuni a tutti gli esseri umani.

Lo stress: le prime manifestazioni
Lo studioso Hans Selye classificò come “Sindrome generale da Adattamento” lo stress così come lo conosciamo al giorno d’oggi. Si tratta di una sindrome, che si attiva nel momento esatto in cui una persona percepisce il fattore che la stressa e quindi si comporta in determinati modi per contrastarlo. Come sappiamo, l’eredità che l’essere umano si porta dietro si manifesta soprattutto nei momenti di pericolo, per cui la risposta più primitiva si basa su una sorta di ‘combattimento e di fuga’. Si tratta, in altri termini, di istinto primitivo che viene a galla e che si manifesta nelle situazioni di pericolo che esulano dalla nostra normale routine di ogni giorno. Il corpo e la psiche attuano un piano di emergenza, che ha come scopo finale la sopravvivenza dell’individuo

Inizialmente la mente umana mette infatti in moto un vero e proprio stato d’allarme, durante il quale la mente ordina al corpo di comportarsi in un determinato modo. Ecco che avvengono delle modificazioni chimiche che chiedono di essere studiate con la massima attenzione e che nella loro specie si rivelano molto affascinanti. Tra esse, le più ricche di significato sono indubbiamente l’irrigidimento muscolare, il respiro più veloce e frammentato, l’aumento del battito cardiaco e anche della sudorazione. Per assurdo, il corpo mette in moto dei meccanismi di difesa che apparentemente fanno stare bene il soggetto, con il rilascio dell’adrenalina, ma si tratta di una sensazione dalla natura effimera, che lascia spazio in un secondo momento ad un’infinita stanchezza e ad un senso di grande spossatezza. I sintomi maggiori dello stress sono quindi acuti, coinvolgono l’intera totalità del corpo e non risparmiano nessun soggetto, anche il più forte e fisicamente robusto.

Se analizziamo in modo ponderato questa manifestazione del corpo rispetto allo stress possiamo cercarne un’utilità primitiva. Se, ad esempio, qualcuno ci aggredisce, l’acutizzazione dei sensi, l’irrigidimento dei muscoli, l’adrenalina che si libera e quindi la sensazione di invincibilità ci dovrebbero aiutare a reagire nel modo migliore, combattendo e quindi salvando la situazione. Nella realtà, queste manifestazioni fisiche sono effimere, in quanto a lungo andare logorano il nostro corpo e rendono disequilibrati i valori del circolo ematico e della pressione arteriosa. Tali manifestazioni portano con loro anche un’infinita stanchezza, come accade in seguito a prestazioni fisiche troppo impegnative, oppure in seguito all’avvertimento di una paura troppo forte. Quante volte ci siamo sentiti spossati dopo avere preso uno spauracchio? Si tratta di una manifestazione fisica normalissima, in quanto il corpo è stato provato e ora chiede di riposare per continuare a svolgere in modo normale le sue funzioni vitali.

Un’analisi speciale va inoltre ricercata ai meccanismi chimici che avvengono nel nostro corpo quando subiamo questo genere di esperienze. Gli ormoni dello stress, nel particolare il cortisolo, entrano in circolo nell’organismo, dando vita ad uno stato di agitazione costante, che porta a un logorio degli organi interni, ad episodi legati all’aumento della secrezione dei succhi gastrici quindi a possibili casi di pirosi, di reflussi gastrici e nei casi più critici di ulcere all’apparato digerente. Lo stress colpisce molto spesso l’apparato digerente,soprattutto nelle persone che non si alimentano in modo corretto o che già sono predisposte a soffrire di queste patologie. Che dire poi dei problemi legati ai possibili danni al fegato e ai reni, che posti in una situazione di stress potrebbero non funzionare correttamente e quindi portare ad un indebolimento generale del fisico.

Stress: la fase della resistenza
Nella prima fase di percezione dello stress, il corpo e la mente sperimentano sensazioni nuove, mai provate finora. Per questo motivo le reazioni sono così forti ed inaspettate. Il nostro corpo deve combattere un nemico che non conosce e quindi mette in moto delle difese speciali, puramente fisiche e votate alla conservazione della specie.

Una volta superata questa fase iniziale, se i fenomeni stressanti non diminuiscono in modo spontaneo, i soggetti possono cadere nella fase chiamata della resistenza, che viene anche chiamata di adattamento. In altri termini, il corpo e la mente si abituano alle situazioni stressanti, per cui questo modo di vivere e di dover affrontare gli impegni giornalieri diventa incredibilmente normale. Si tratta di una condizione molto pericolosa, in quanto il livello di energia richiesta è altissimo e il corpo si sta logorando poco e poco, talvolta senza che il soggetto stesso se ne accorga in modo lucido. Un esempio di adattamento può essere ad esempio ricercato nella diminuzione drastica delle ore dormite durante la notte. La rigenerazione che avviene con il sonno assicura che le funzioni vitali vengano svolte nel modo corretto e che la mente possa fare ordine fra gli avvenimenti accaduti durante il giorno. Se in seguito ad episodi stressanti il sonno diminuisce, in modo sensibile, il corpo non ha tempo di rigenerarsi e neanche la mente può riposarsi in modo benefico, con gravi squilibri per tutto l’organismo.

Lo stress: la fase dell’esaurimento
Il terzo stadio dello stress, che segue purtroppo quello della resistenza si chiama esaurimento e il soggetto ci arriva quando purtroppo è già troppo tardi. Spesso accade che lo stress conduca i soggetti in un vortice malsano, a causa del quale non ci accorgiamo neanche dei sintomi delle prime due fasi riscoprendoci nella fase dell’esaurimento in pochissimo tempo. Ma come si manifesta questa fase? Innanzitutto con tanta stanchezza e con il senso che nulla possa essere di beneficio per risanare la situazione.

Molti soggetti, soprattutto quelli più sensibili e altruisti, cadono spesso in una situazione di esaurimento in quanto si prodigano per aiutare gli altri, talvolta senza valutare i rischi per la loro salute personale. Accade che questi soggetti abusino delle loro risorse e quindi, a forza di ‘tirare la corda’, esauriscano le loro energie psico fisiche, sentendosi vuoti e privi di qualsiasi energia vitale. Ma come ci si deve comportare in questi casi? La regola migliore sarebbe essere in grado di valutare il raggio di stress che subiamo ogni giorno, ma ciò è molto difficile da attuare, soprattutto nel contesto professionale e ambientale. Cercare di attuare un atteggiamento alternativo può però aiutarci a combattere lo spettro dello stress, vediamo assieme in che modo.

Lo stress: come cercare di combatterlo
Molte persone ci chiedono di andare avanti anche se siamo stanchi e abbiamo esaurito le nostre energie. Ci danno delle ‘pappemolli’ perché non riusciamo a fare mille cose contemporaneamente come fanno loro, oppure ci additano come sfaticati se non riusciamo a lavorare per tre. Attenzione, questi soggetti non devono in assoluto essere considerati e vanno lasciati stare, in quanto solo noi conosciamo le nostre forze, il nostro corpo, la nostra mente e quindi i nostri limiti. Conoscere e rispettare i propri limiti è sintomo di profonda intelligenza, il contrario di grande stupidità. L’analisi delle persone con le quali ‘abbiamo a che fare’ è di grande aiuto per combattere lo stress in modo positivo, soprattutto se si tratta di soggetti con non conosciamo in modo profondo. Ricordiamoci che chi ‘sputa sentenze’ raramente è una persona intelligente e quindi come tale merita di essere valutata.

Combattere lo stress: iniziamo dal sonno
Ci svegliamo stanchi, spossati e affaticati anche se abbiamo dormito un bel po’ di ore? Si tratta di una stanchezza diffusa, che non può essere contrastata neanche con lunghi riposi in quanto è diventata parte integrante della nostra vita. In questo caso dobbiamo cercare di capire le cause del problema e comprendere che stiamo vivendo un periodo di esaurimento fisico. Dobbiamo quindi cercare di rendere buono, positivo e anche equilibrato il nostro riposo, in quanto da esso parte il percorso di guarigione votato al benessere.

Si tratta di un percorso che deve essere accettato e vissuto in modo preciso da chi soffre di stress diffuso. Molti uomini e donne si sentono ‘di meno’ se si svegliano stanchi e affaticati, allora tirano ancor più la corda per non far pesare agli altri o ammettere il proprio stato. Normalmente, il fisico umano è portato a seguire una catena naturale molto semplice. Un uomo o una donna compiono delle azioni, si affaticano e quindi hanno bisogno naturalmente di riposare. Si riposano e quindi recuperano l’energia sufficiente che permette loro di ricominciare ad agire. Se questa catena per qualche motivo si spezza, possiamo ben capire che l’intero flusso non acquista più il suo senso e il suo valore, per cui ogni azione diventa complicata e difficile da attuare. Se una persona non recupera durante il sonno non può più agire in modo attivo durante la giornata e cade quindi nel terzo stato dello stress che è l’esaurimento.

E’ giunto, quindi, il momento di superare ogni pregiudizio e di pensare a noi stessi in modo profondo. Il sonno permette che avvenga la rigenerazione cellulare e che quindi corpo e mente si riequilibrino in modo naturale e positivo. A chi ci dice ‘Fai il riposino pomeridiano? Ma non ti vergogni?’ Rispondiamo con un No, forte e sicuro e affermiamo che abbiamo bisogno di riposare un po’ anche al pomeriggio, perché il nostro corpo ce lo chiede, per aumentare il benessere e per rendere in modo migliore durante i nostri impegni di tutti i giorni!

Una persona affaticata deve lasciare stare i giudizi degli altri e riposarsi quando ne avverte la necessità, altrimenti rischia di rendere ancor più pericolosa ogni azione, di logorare in modo più pesante il fisico e quindi di incorrere in malattie anche molto pericolose. Tra le tante si inseriscono gli infarti, gli ictus, l’innalzamento della glicemia e quindi il diabete, nonché le patologie legate all’insufficienza renale. Aggiungiamo anche i disturbi stressanti che colpiscono la pelle e i tessuti, come gli eczemi e la psoriasi, che non devono mai essere sottovalutati.

Se lo schema benefico di

azione>riposo>recupero>azione,

si trasforma in azione fatta male a causa dell’affaticamento> stanchezza quindi mancato recupero> mancata azione perché esaurimento psico fisico a cosa serve continuare questa catena così faticosa?

E’ necessario fermarsi, analizzare ogni sintomo e ogni causa che hanno condotto i soggetti fino a questo punto, in quanto il periodo dell’esaurimento può portare con sé due comportamenti diversi, ovvero la depressione e l’agitazione. Solitamente le persone che soffrono di depressione alternano questi due comportamenti e la catena porta con sé stati di agitazione e quindi di mancato riposo. A ciò segue la depressione, perché il soggetto non riesce a portare a termine le operazioni di ogni giorno e si sente triste, malinconico e incompreso da chi gli sta accanto.

Lo stress: i sintomi della depressione
Come abbiamo cercato di chiarire, la depressione porta con sé momenti di grande euforia e eccitazione e istanti di grave depressione, ovvero di senso di inutilità diffusa. La depressione porta con sé difficoltà nell’agire, in quanto il corpo non riesce fisicamente ad attuare le azioni giornaliere, anche le più semplici e naturali come preparare da mangiare oppure fare il bucato. Dal punto di vista professionale, chi soffre di depressione non può lavorare, in quanto anche le mansioni più semplici vengono lette come montagne da scalare, come ostacoli dalla natura infinitamente problematica. Si tratta di sforzi molto consistenti, i quali diventano ancor più pesanti nel momento che le persone depresse si fermano ad analizzare il giudizio altrui.

Spesso la società non è delicata nei confronti delle persone che soffrono di depressione. Le persone giudicano e condannano le persone depresse come soggetti che non hanno voglia di lavorare o che sono vittime di debolezza morale. Niente di più sbagliato: la depressione è una malattia che deve essere compresa in ogni sua sfumatura e che quindi non deve tenere conto dei giudizi, spesso altamente superficiali delle altre persone!

Un aspetto ancor più problematico va ricercato nel fatto che le persone spesso additano i soggetti depressi di ‘essersela cercata’ ovvero di non avere fatto abbastanza, di non essere stati abbastanza forti per contrastare lo stress che ha originato la depressione. Questo fattore è assolutamente falso, in quanto la nascita dell’esaurimento e della conseguente depressione dipendono da una pluralità di fattori difficilissimi da racchiudere in poche righe. Ciò che manca, nei soggetti sofferenti è spesso la forza vitale che permette di creare ‘volontà’ per cui ogni meccanismo si annulla e deve essere letto sotto una luce diversa.

Sotto una luce diversa merita di essere letto anche il rapporto fra sforzo e performance. Spesso chi riesce a fare mille cose in un momento solo viene considerato bravo, forte e intelligente. E se così non fosse? Se si trattasse solamente di un inutile quanto pericoloso dispendio di energie vitali? Ciò che deve cambiare è l’approccio che i tempi moderni hanno indotto nel lavoro, nella concezione della vita personale e sociale, nella necessità di apparire al top in ogni occasione di avere in ogni momento la battuta giusta al momento giusto.

Ciò che deve cambiare, in definitiva, sono i ritmi e la concezione dello stress da parte delle persone. Anche l’approccio di chi soffre di questa importante patologia chiede di essere modificato, perché si tratta di un percorso di guarigione che chiede di essere portato avanti con la massima comprensione e ‘condito’ con amore, intelligenza e supportato dal giusto tempo necessario per guarire in modo completo e positivo.

Per questo motivo, il percorso di guarigione deve interessare una pluralità di fattori, fisici e psico emotivi. Innanzitutto è fondamentale attuare un’analisi dell’ambiente professionale, analizzare quali sono le situazioni che sfociano in stress e annotarle in modo preciso. Può trattarsi di elementi consistenti, così come di piccole sfumature. Tutto è importante, nulla va lasciato al caso. All’ambiente professionale si associa il rapporto con i colleghi, con i dirigenti e anche con gli uffici di riferimento.

Una volta analizzate le cause che interessano l’ambiente professionale, è importante attuare un’analisi più profonda, intima e personale, che si occupi della sfera affettiva e personale del soggetto. Dai rapporti familiari fino a quelli di coppia, alla gestione dei figli e dei genitori, ogni aspetto va attentamente valutato e quindi compreso. Ecco che, dall’analisi del tessuto sociale, personale e professionale può avere inizio un percorso di analisi e di guarigione proficuo, attuato con l’aiuto di esperti nel campo, che possono costruire un efficace quanto produttivo percorso di guarigione dal problema e spianare la strada verso la ricerca della felicità.

Neuromarketing e il quadrifoglio nascosto

a cura di Ivan Greppi

quadrifoglioUn brand del gioco d’azzardo ha piantato dei quadrifogli spargendoli casualmente nelle aiuole dei parcheggi per i clienti della sala da gioco. Sappiamo che il quadrifoglio per noi occidentali è associato alla fortuna. I clienti pensavano quindi a un ritrovamento fortunato.

Alcune fonti hanno segnalato che una percentuale di clienti attorno al 20% sia entrata con un quadrifoglio in mano nella sala da gioco dichiarandosi più propensi a scommettere per un segno del destino, alzando di fatto la propensione al consumo, che nel caso specifico si può tradurre con una propensione maggiore alle scommesse.

Qualcuno ha obiettato che non è etico far leva sulla superstizione per migliorare gli introiti. Condivisibile, però ampliando il discorso bisogna ad esempio notare che chi vende prodotti di bellezza fa leva su sentimenti come giovinezza e bellezza per affascinare il pubblico, promettendo risultati che quasi mai sono effettivamente dimostrati.

Al di là dell’aspetto etico va annotato che la sala da gioco ha trovato una chiave molto interessante (ed economica) per spingere la vendita del proprio prodotto.

L’erba del vicino è sempre più verde?

a cura di Ivan Greppi

green-grassCosa faresti 5 milioni di euro? Che cosa con 20 milioni?

E con 100.000.000 di euro?

Siamo soliti dire che se potessimo vincere una volta alla lotteria somme simili tutti i nostri problemi sarebbero risolti.

Il denaro è un male o il denaro è l’unica cosa che conta? La quantità di zeri conta davvero per donarci felicità?

Invece di aspettare domani sperando in un colpo di fortuna, dobbiamo concentrarci sulle tante lotterie che abbiamo già vinto.

Le relazioni salde che abbiamo la fortuna di avere nella nostra vita. Le lezioni che abbiamo imparato. Le esperienze positive che abbiamo vissuto.

Le opportunità che la vita ci ha presentato.

Essere diversi è molto facile. Difficile è…

a cura di Ivan Greppi

Quando si decide di andare avanti, bisogna lasciarsi indietro qualcosa. La verità è che essere diversi è molto facile.

Quel che è difficile è essere i migliori.

(Jony Ive)

 

Jony Ive

Influenzare le persone? Anche un esperto può cadere in trappola!

a cura di Ivan Greppi

Due giovani “youtubers” riuniti sotto il nome di LifeHunters hanno comprato cibo in un fast food e hanno “travestito” hamburger e pollo fritto.

Poi si sono presentati alla fiera annuale dedicata al cibo di Houten in Olanda presentando gli assaggi come “una alternativa biologica al fast food”. Le reazioni degli esperti sono state molto positive.

Fonte: Corriere.it

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L’ANSIA È VERAMENTE NEGATIVA?

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Il Brainstorming

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